Ed ecco il nostro mercatino ...
complimenti a quanti hanno affettuosamente contribuito in vari modi!
Piazza Santa Lucia - Taurianova (RC)
La Storia
Santa Lucia nasce a Siracusa sul finire del III secolo, in un
periodo compreso fra il 280 e il 290 d.C. (probabilmente nell’anno 284/285). La
sua famiglia nobile e molto ricca è tra le più importanti della città. La madre
si chiama Eutichia (in greco, Fortunata). Del padre non si hanno notizie certe.
L’infanzia di Lucia è particolarmente felice sia per la sua
fede in Cristo sia per i notevoli mezzi
economici della famiglia. Purtroppo all’età di 5-9 anni rimane orfana del padre
e questo evento obbliga Eutichia a provvedere da sola alla sua educazione.
Intanto Lucia e la madre sono costrette, per sfuggire alle persecuzioni, a professare di nascosto la religione
cristiana. Lucia, ancora ragazzina,
sebbene non manifesti alcun interesse per il matrimonio, è promessa in sposa
dalla madre ad un giovane patrizio.
La serenità della famiglia però è turbata dall’aggravarsi
delle continue emorragie di cui soffre Eutichia, per la quale i medici non nutrono
speranze di sopravvivenza.
Lucia convince la madre a recarsi in pellegrinaggio a Catania
presso la tomba di S. Agata, in
occasione dell’anniversario del suo martirio (secondo la tradizione il 5
febbraio) per chiedere la grazia della guarigione. Giunte a Catania, durante la
celebrazione della messa Lucia e la madre sono colpite dalle parole del brano
del Vangelo che racconta dell’emorroissa che aveva ricevuto il dono della
guarigione toccando il lembo della veste di Gesù. Dopo la messa, Lucia, mentre
prega sul sepolcro, si addormenta e in
sogno le appare S. Agata che le promette
la guarigione della madre e le anticipa che diventerà santa.
Appena sveglia, Lucia si accorge dell’avvenuto miracolo: la promessa della Santa si è avverata. La
giovane, che già da tempo aveva deciso di consacrarsi a Dio, sostenuta dalla
forza dalle parole pronunciate da S. Agata torna a Siracusa e comunica alla
madre la volontà di non sposarsi e di
aiutare i poveri e i bisognosi della città donando tutte le loro ricchezze. La
madre tenta di dissuaderla, ma alla fine ne accetta la volontà e la aiuta nella
realizzazione dei suoi progetti.
La notizia che le due donne vendono i loro averi per
distribuirne il ricavato ai poveri si diffonde rapidamente e arriva
all’orecchio del pretendente di Lucia, il quale chiede spiegazioni ad Eutichia.
La donna lo rassicura, dicendogli che la vendita sarebbe servita per un buon
investimento. Tranquillizzato, il ragazzo torna a casa, ma quando viene a saper
che Lucia è cristiana, preso dall’ira, la denuncia all’arconte di Siracusa
(Pascasio) che subito la fa arrestare.
Durante il processo, Pascasio cerca di convincere Lucia a
rinnegare la sua fede e a compiere sacrifici in onore degli dei romani, lei
però non cede. Alterato dalle sue risposte, ordina che sia portata in un “luogo
infame, dove sarai costretta al disonore” (postribolo), ma quando i soldati
tentano di spostarla, Lucia miracolosamente diventa irremovibile.
Pascasio pensa che Lucia sia una strega per questo ordina che
sia cosparsa di urina (era antica credenza che l’urina avesse la capacità di annullare
magie e sortilegi) e di riprovare a muoverla usando dei buoi. Ma gli animali
non riescono a spostarla.
L'arconte, infastidito, ordina che venga bruciata. Cosparsa
di pece e olio, il corpo di Lucia viene avvolto dalle fiamme, ma non brucia.
Pascasio, ormai fuori di sé ed in preda alla confusione,
vedendo che Lucia, nonostante il fuoco avvolga il suo corpo, sorride e mantiene
la calma, ordina ad un soldato di ucciderla con la spada. Il soldato dapprima
esita, poi esegue l’ordine e la decapita.
Vi sono due versioni circa le modalità dell’uccisione di
Santa Lucia. Secondo il martyrion greco, il più antico scritto, Lucia fu
decapitata con un colpo di spada (fine
riservata ai nobili); secondo la passio latina invece, Lucia fu trafitta alla
gola. La prima versione appare la più credibile perché lo scheletro della Santa presenta la testa staccata dal corpo. È
infondata invece la leggenda che a Lucia furono cavati gli occhi per ordine di
Pascasio, o che l’abbia fatto ella stessa per mandarli al suo pretendente,
perché non risulta in nessun atto del martirio.
Il 13 dicembre del 304, Lucia muore da martire e il suo nome
e quello di Siracusa diventano famosi in tutto il mondo.
Dal web:
Siracusa, III secolo - Siracusa, 13 dicembre 304
La vergine e martire Lucia è una
delle figure più care alla devozione cristiana. Come ricorda il Messale
Romano è una delle sette donne menzionate nel Canone Romano. Vissuta a
Siracusa, sarebbe morta martire sotto la persecuzione di Diocleziano
(intorno all'anno 304). Gli atti del suo martirio raccontano di torture
atroci inflittele dal prefetto Pascasio, che non voleva piegarsi ai
segni straordinari che attraverso di lei Dio stava mostrando. Proprio
nelle catacombe di Siracusa, le più estese al mondo dopo quelle di Roma,
è stata ritrovata un'epigrafe marmorea del IV secolo che è la
testimonianza più antica del culto di Lucia. Una devozione diffusasi
molto rapidamente: già nel 384 sant'Orso le dedicava una chiesa a
Ravenna, papa Onorio I poco dopo un'altra a Roma. Oggi in tutto il mondo
si trovano reliquie di Lucia e opere d'arte a lei ispirate. (Avvenire)
Patronato: Siracusa, ciechi, oculisti, elettricisti, contro le malattie degli occhi e le ca
Etimologia: Lucia = luminosa, splendente, dal latino
Emblema: Occhi su un piatto, Giglio, Palma, Libro del Vangelo
Martirologio Romano: Memoria
di santa Lucia, vergine e martire, che custodì, finché visse, la
lampada accesa per andare incontro allo Sposo e, a Siracusa in Sicilia
condotta alla morte per Cristo, meritò di accedere con lui alle nozze
del cielo e di possedere la luce che non conosce tramonto.
Da "Santi e Beati", fonte web
Gli atti del martirio di Lucia di Siracusa sono stati
rinvenuti in due antiche e diverse redazioni: l’una in lingua greca il cui
testo più antico risale al sec. V (allo stato attuale delle ricerche); l’altra,
in quella latina, riconducibile alla fine del sec. V o agli inizi del sec. VI
ma comunque anteriore al sec. VII e che di quella greca pare essere una
traduzione.
La più antica redazione greca del martirio contiene una
leggenda agiografica edificante, rielaborata da un anonimo agiografo due secoli
dopo il martirio sulla tradizione orale e dalla quale è ardua impresa sceverare
dati storici. Infatti, il documento letterario vetustiore che ne tramanda la
memoria è proprio un racconto del quale alcuni hanno messo addirittura in
discussione la sua attendibilità. Si è giunti così, a due opposti risultati:
l’uno è quello di chi l’ha strenuamente difesa, rivalutando sia la storicità
del martirio sia la legittimità del culto; l’altro è quello di chi l’ha del
tutto biasimata, reputando la narrazione una pura escogitazione fantasiosa
dell’agiografo ma non per questo mettendo in discussione la stessa esistenza
storica della v. e m., come sembrano comprovare le numerose attestazioni
devozionali, cultuali e culturali in suo onore.
Sia la redazione in greco sia quella in latino degli atti del
martirio hanno avuto da sempre ampia e ben articolata diffusione, inoltre
entrambe si possono considerare degli archetipi di due differenti ‘rami’ della
tradizione: infatti, dal testo in greco sembrano derivare numerose rielaborazioni
in lingua greca, quali le Passiones più tardive, gli Inni, i Menei, ecc.; da
quello in latino sembrano, invece, mutuare le Passiones metriche, i Resumé
contenuti nei Martirologi storici, gli Antifonari, le Epitomi comprese in più
vaste opere, come ad es. nello Speculum historiale di Vincenzo da Beauvais o
nella Legenda aurea di Iacopo da Varazze.
I documenti rinvenuti sulla Vita e sul martirio sono vicini
al genere delle passioni epiche in quanto i dati attendibili sono costituiti
solo dal luogo e dal dies natalis. Infatti, negli atti greci del martirio si
riscontrano elementi che appartengono a tutta una serie di composizioni
agiografiche martiriali, come ad es. l’esaltazione delle qualità sovrumane
della martire e l’assenza di ogni cura per l’esattezza storica. Tuttavia, tali
difetti, tipici delle passioni agiografiche, nel testo greco di Lucia sono
temperate e non spinte all’eccesso né degenerate nell’abuso. Proprio questi
particolari accostano gli atti greci del martirio al genere delle passioni
epiche.
Sul piano espositivo l’andamento è suggestivo ed avvincente,
non mancando di trasmettere al lettore
emozioni e resoconti agiografici inconsueti attraverso un racconto che si snoda
su un tessuto narrativo piuttosto ricco di temi e motivi di particolare rilievo:
il pellegrinaggio alla tomba di Agata (con il conseguente accostamento
Agata/Lucia e Catania/Siracusa); il sogno, la visione, la profezia e il
miracolo; il motivo storico; l’integrità del patrimonio familiare; la lettura
del Vangelo sull’emorroissa; la vendita dei beni materiali, il Carnale
mercimonium e la condanna alla prostituzione. Infatti è stretta la connessione
tra la dissipazione del patrimonio familiare e la prostituzione per cui la
condanna al postrìbolo rappresenta una legge di contrappasso sicché la giovane
donna che ha dilapidato il patrimonio familiare è ora condannata a disperdere
pure l’altro patrimonio materiale, rappresentato dal proprio corpo attraverso
un’infamante condanna, direttamente commisurata alla colpa commessa; infine, la
morte.
Il martirio incomincia con la visita di Lucia assieme alla
madre Eutichia, al sepolcro di Agata a Catania, per impetrare la guarigione
dalla malattia da cui era affetta la madre: un inarrestabile flusso di sangue
dal quale non era riuscita a guarire neppure con le dispendiose cure mediche,
alle quali si era sottoposta. Lucia ed Eutichia partecipano alla celebrazione
eucaristica durante la quale ascoltano proprio la lettura evangelica sulla
guarigione di un’emorroissa. Lucia, quindi, incita la madre ad avvicinarsi al
sepolcro di Agata e a toccarlo con assoluta fede e cieca fiducia nella
guarigione miracolosa per intercessione della potente forza dispensatrice della
vergine martire. Lucia, a questo punto, è presa da un profondo sonno che la
conduce ad una visione onirica nel corso della quale le appare Agata che,
mentre la informa dell’avvenuta guarigione della madre le predice pure il suo
futuro martirio, che sarà la gloria di Siracusa così come quello di Agata era
stato la gloria di Catania. Al ritorno dal pellegrinaggio, proprio sulla via
che le riconduce a Siracusa, Lucia comunica alla madre la sua decisione
vocazionale: consacrarsi a Cristo! A tale fine le chiede pure di potere
disporre del proprio patrimonio per devolverlo in beneficenza. Eutichia, però,
non vuole concederle i beni paterni ereditati alla morte del marito, avendo
avuto cura non solo di conservarli orgogliosamente intatti e integri ma di
accrescerli pure in modo considerevole. Le risponde, quindi, che li avrebbe
ereditati alla sua morte e che solo allora avrebbe potuto disporne a suo
piacimento. Tuttavia, proprio durante tale viaggio di ritorno, Lucia riesce,
con le sue insistenze, a convincere la madre, la quale finalmente le da il
consenso di devolvere il patrimonio paterno in beneficenza, cosa che la vergine
avvia appena arrivata a Siracusa. Però, la notizia dell’alienazione dei beni
paterni arriva subito a conoscenza del promesso sposo della vergine, che se ne
accerta proprio con Eutichia alla quale chiede anche i motivi di tale imprevista
quanto improvvisa vendita patrimoniale. La donna gli fa credere che la
decisione era legata ad un investimento alquanto redditizio, essendo la vergine
in procinto di acquistare un vasto possedimento destinato ad assumere un alto
valore rispetto a quello attuale al momento dell’acquisto e tale da spingerlo a
collaborare alla vendita patrimoniale di Lucia. In seguito il fidanzato di
Lucia, forse esacerbato dai continui rinvii del matrimonio, decide di
denunciare al governatore Pascasio la scelta cristiana della promessa sposa, la
quale, condotta al suo cospetto è sottoposta al processo e al conseguente
interrogatorio. Durante l’agone della santa e vittoriosa martire di Cristo
Lucia, emerge la sua dichiarata e orgogliosa professione di fede nonché il disprezzo
della morte, che hanno la caratteristica di essere arricchiti sia di
riflessioni dottrinarie sia di particolari sempre più cruenti, man mano che si
accrescono i supplizi inflitti al fine di esorcizzare la v. e m. dalla
possessione dello Spirito santo. Dopo un interrogatorio assai fitto di scambi
di battute che la vergine riesce a contrabbattere con la forza e la sicurezza
di chi è ispirato da Cristo, il governatore Pascasio le infligge la pena del
postrìbolo proprio al fine di operare in Lucia una sorta di esorcismo inverso
allontanandone lo Spirito santo. Mossa dalla forza di Cristo, la vergine Lucia
reagisce con risposte provocatorie, che incitano Pascasio ad attuare subito il
suo tristo proponimento. La vergine, infatti, energicamente gli dice che, dal momento che la sua mente non
cederà alla concupiscenza della carne, quale che sia la violenza che potrà
subire il suo corpo contro la sua volontà, ella resterà comunque casta, pura e
incontaminata nello spirito e nella mente. A questo punto si assiste ad un
prodigioso evento: la vergine diventa inamovibile e salda sicché, nessun tentativo riesce a
trasportarla al lupanare, nemmeno i maghi appositamente convocati dallo
spietato Pascasio. Esasperato da tale straordinario evento, il cruento
governatore ordina che sia bruciata, eppure neanche il fuoco riesce a scalfirla
e Lucia perisce per spada! Sicché, piegate le ginocchia, la vergine attende il
colpo di grazia e, dopo avere profetizzato la caduta di Diocleziano e
Massimiano, è decapitata.
Pare che Lucia abbia patito il martirio nel 304 sotto
Diocleziano ma vi sono studiosi che propendono per altre datazioni: 303, 307 e
310. Esse sono motivate dal fatto che la profezia di Lucia contiene elementi
cronologici divergenti che spesso non collimano fra loro: per la pace della
chiesa tale profezia si dovrebbe riferire al primo editto di tolleranza nei
riguardi del cristianesimo e quindi sarebbe da ascrivere al 311, collegabile,
cioè, all’editto di Costantino del 313; l’abdicazione di Diocleziano avvenne
intorno al 305; la morte di Massimiano avvenne nel 310. È, invece, accettata
dalla maggioranza delle fonti la data relativa al suo dies natalis: 13
dicembre. Eppure, il Martirologio Geronimiano ricorda Lucia di Siracusa in due
date differenti: il 6 febbraio e il 13 dicembre. L’ultima data ricorre in tutti i successivi
testi liturgici bizantini e occidentali, tranne nel calendario mozarabico, che
la celebra, invece, il 12 dicembre. Nel misterioso calendario latino del Sinai
il dies natalis di Lucia cade l’8 febbraio: esso fu redatto nell’Africa
settentrionale e vi è presente un antico documento della liturgia locale nel
complesso autonoma sia dalla Chiesa di Costantinopoli che da quella di Roma,
pur rivelando fonti comuni al calendario geronimiano.
Assai diffusa è a tutt’oggi la celebrazione del culto di
Lucia quale santa patrona degli occhi. Ciò sembra suffragato anche dalla vasta
rappresentazione iconografica, che, tuttavia, è assai variegata, in quanto nel
corso dei secoli e nei vari luoghi si è arricchita di nuovi simboli e di varie
valenze. Ma è stato sempre così? Quando nasce in effetti questo patronato e
perché? Dal Medioevo si va sempre più
consolidando la taumaturgia di Lucia quale santa patrona della vista e dai
secc. XIV-XV si fa largo spazio un’innovazione nell’iconografia: la
raffigurazione con in mano un piattino (o una coppa) dove sono riposti i suoi
stessi occhi. Come si spiega questo tema? È, forse, passato dal testo orale
all’iconografia? Oppure dall’iconografia all’elaborazione orale? Quale
l’origine di un tale patronato? Esso è probabilmente da ricercare nella
connessione etimologica e/o paretimologica di Lucia a lux, molto diffusa
soprattutto in testi agiografici bizantini e del Medioevo Occidentale. Ma,
quali i limiti della documentazione e quali le cause del proliferare della
tradizione relativa all’iconografia di Lucia, protettrice della vista? Si può
parlare di dilatazione dell’atto di lettura nell’immaginario iconografico, così
come in quello letterario? E tale dilatazione nei fenomeni religiosi è un atto
di devozione e fede? È pure vero che la semantica esoterica data al nome della
v. e m. di Siracusa è la caratteristica che riveste, accendendola di intensa
poesia, la figura e il culto di Lucia, la quale diventa, nel corso dei secoli e
nei vari luoghi una promessa di luce, sia materiale che spirituale. E proprio a
tale fine l’iconografia, già a partire dal sec. XIV, si fa interprete e
divulgatrice di questa leggenda, raffigurando la santa con simboli specifici e
al tempo stesso connotativi: gli occhi, che Lucia tiene in mano (o su un piatto
o su un vassoio), che si accompagnano sovente alla palma, alla lampada (che è
anche uno dei simboli evangelici più diffuso e più bello, forse derivato
dall’arte sepolcrale) e, meno frequenti, anche ad altri elementi del suo
martirio, come ad es. il libro, il calice, la spada, il pugnale e le fiamme. È
anche vero che le immagini religiose possono essere intese sia come ritratti
che come imitazione ma non bisogna dimenticare che prima dell’età moderna sono
mancati riferimenti ai suoi dati fisiognomici, per cui gli artisti erano soliti
ricorrere alla letteratura agiografica il cui esempio per eccellenza è proprio
la Legenda Aurea di Iacopo da Varazze, che rappresenta il testo di riferimento
e la fonte di gran parte dell’iconografia religiosa. In tale opera il dossier
agiografico di Lucia -che si presenta
come un testo di circa tre pagine di lunghezza- è preceduto da un
preambolo sulle varie valenze etimologiche e semantiche relative
all’accostamento Lucia/luce: Lucia è un derivato di luce esteso anche al valore
simbolico via Lucis, cioè cammino di luce.
I genitori di Lucia, essendo cristiani, avrebbero scelto per
la figlia un nome evocatore della luce, ispirandosi ai molti passi
neotestamentari sulla luce. Tuttavia, il nome Lucia in sé non è prerogativa
cristiana, ma è anche il femminile di un nome latino comune e ricorrente tra i
pagani. Se poi Lucia significhi solo «luce» oppure più precisamente riguarda i
«nati al sorger della luce (cioè all'alba)», rivelando nel contempo anche un
dettaglio sull'ora di nascita della santa, è a tutt’oggi, un problema aperto.
Forse la questione è destinata a restare insoluta? Il problema si complica se
poi si lega il nome di Lucia non al giorno della nascita ma a quello della
morte (=dies natalis): il 13 dicembre era, effettivamente, la giornata
dell'anno percentualmente più buia. Per di più, intorno a quella data, il
paganesimo romano festeggiava già una dea di nome Lucina. Queste situazioni
hanno contribuito ad alimentare varie ipotesi riconducibili, tuttavia, a due
filoni: da un lato quello dei sostenitori della teoria, secondo la quale tutte
le festività cristiane sarebbero state istituite in luogo di preesistenti culti
pagani, vorrebbero architettata in tale modo anche la festa di Lucia (come già
quella di Agata). Per i non credenti tale discorso può anche essere suggestivo
e accattivante, trovando terreno fertile. Da qui a trasformare la persona
stessa di Lucia in personaggio immaginifico, mitologico, leggendario e non
realmente esistito, inventato dalla Chiesa come calco cristiano di una
preesistente divinità pagana, il passo è breve (persino più breve delle stesse
già brevi e pallide ore di luce di dicembre!). Dall’altro lato quello dei
credenti,secondo i quali, invece, antichi e accertati sono sia l’esistenza sia
il culto di Lucia di Siracusa, che rappresenta così una persona storicamente
esistita, morta nel giorno più corto dell'anno e che riflette altresì il
modello femminile di una giovane donna cristiana, chiamata da Dio alla
verginità, alla povertà e al martirio, che tenacemente affronta tra efferati
supplizi.
Nel Breviario Romano Tridentino, riformato da papa Pio X (ed.
1914), che prima di salire al soglio pontificio era patriarca di Venezia, è
menzionata la traslazione delle reliquie di Lucia alla fine della lettura
agiografica, così come ha evidenziato Andreas Heinz nel suo recente contributo.
A Siracusa un’inveterata tradizione popolare vuole che, dopo
avere esalato l’ultimo respiro, il corpo di Lucia sia stato devotamente
tumulato nello stesso luogo dell martirio. Infatti, secondo la pia devozione
dei suoi concittadini, il corpo della
santa fu riposto in un arcosolio, cioè in una nicchia ad arco scavata nel tufo
delle catacombe e usata come sepolcro. Fu così che le catacombe di Siracusa,
che ricevettero le sacre spoglie della v. e m., presero da lei anche il nome e
ben presto attorno al suo sepolcro si sviluppò una serie numerosa di altre
tombe, perché tutti i cristiani volevano essere tumulati accanto all’amatissima
Lucia. Ma, nell'878 Siracusa fu invasa dai Saraceni per cui i cittadini
tolsero il suo corpo da lì e lo
nascosero in un luogo segreto per sottrarlo alla furia degli invasori. Ma, fino
a quando le reliquie di Lucia rimasero a Siracusa prima di essere doppiamente
traslate (da Siracusa a Costantinopoli e da Costantinopoli a Venezia)? Fino al
718 o fino al 1039? È certo che a Venezia il suo culto era già attestato dal
Kalendarium Venetum del sec. XI, nei Messali locali del sec. XV, nel Memoriale Franco
e Barbaresco dell’inizio del 1500, dove era considerata festa di palazzo, cioè
festività civile. Durante la crociata del 1204 i Veneziani lo trasportarono nel
monastero di San Giorgio a Venezia ed elessero santa Lucia compatrona della
città. In seguito le dedicarono pure una grande chiesa, dove il corpo fu
conservato fino al 1863, quando questa fu demolita per la costruzione della
stazione ferroviaria (che per questo si chiama Santa Lucia); il corpo fu
trasferito nella chiesa dei SS. Geremia e Lucia, dove è conservato tutt’oggi.
La duplice traslazione delle reliquie di Lucia è attestata da
due differenti tradizioni.
La prima tradizione risale al sec. X ed è costituita da una
relazione, coeva ai fatti, che Sigeberto di Gembloux († 1112) inserì nella biografia
di Teodorico, vescovo di Metz. Tale relazione tramanda che il vescovo
Teodorico, giungendo in Italia insieme all’imperatore Ottone II, abbia
trafugato molte reliquie di santi –fra cui anche quella della nostra Lucia- che
allora erano nell’Abruzzo e precisamente a Péntima (già Corfinium). La traslazione a Metz delle reliquie di Lucia
pare suffragata dagli Annali della città dell’anno 970 d.C. Ma alcuni dubbi
sembrano non avere risposte attendibili: Come e perché Faroaldo ripose le
reliquie o le spoglie di Lucia a Corfinium? Furono traslate le reliquie o tutto
il corpo della martire? Il vescovo locale si prestò ad un inganno (pio e
devoto?) o diceva il vero? Se è
ravvisabile un fondo di verità nel racconto del vescovo, allora si potrebbe
desumere che le reliquie o il corpo della martire furono traslate da Siracusa
nel 718 (quindi fino al 718 sarebbero rimaste a Siracusa?). Cosa succedeva
allora nella città siciliana? Sergio, governatore della Sicilia, si era
ribellato all’imperatore Leone III l’Isaurico e pertanto era stato costretto a
fuggire da Siracusa e a rifugiarsi da
Romualdo II, duca longobardo di Benevento.
Se questa tradizione è attendibile, si può forse pensare che il vescovo
di Corfinium (o piuttosto Sigeberto? Oppure altresì la sua fonte?) abbia
confuso Romualdo (che proprio in quel periodo era duca di Spoleto e che, come
tale, godeva di una fama maggiore) con Faroaldo? E ancora, lo stesso Sigeberto
di Gembloux riferisce che Teoderico nel 972 abbia innalzato un altare in onore
di Lucia e che nel 1042 un braccio della v. e m. sia stato donato al monastero
di Luitbourg. Quindi, antichi documenti attestano che di fatto vi fu una
traslazione delle reliquie di Lucia dall’Italia centrale a Metz, sulla
frontiera linguistica romano-germanica, nella provincia di Treviri. Situata fra
Germania e Francia, questa regione è anche il paese d’origine della dinastia
carolingia. È una casualità? Come andarono effettivamente le cose? Secondo
Sigeberto di Gembloux l’imperatore Ottone II sostò in Italia nel 970, avendo
tra la sua scorta il vescovo Teodorico di Metz, il quale, durante il suo
soggiorno, acquistava preziose reliquie, allo scopo di accrescere la fama della
sua città vescovile. Pare che uno dei suoi preti, di nome Wigerich, che era
anche cantore nella cattedrale di Metz, abbia rinvenuto le reliquie di Lucia di
Siracusa, a Corfinium, poi identificata con Péntima in Abruzzo. Si dice che
tali reliquie erano state prelevate dai Longobardi e trasportate da Siracusa al
ducato di Spoleto. Ma perché questo spostamento? In un primo tempo le reliquie
di Lucia, dopo essere state acquistate dal vescovo Teodorico di Metz, il quale
aveva portato dall’Italia anche il corpo del martire Vincenzo, furono tumulate
assieme alle reliquie di quest’ultimo al quale il vescovo aveva fatto erigere
un’abbazia sull’isola della Mosella, dove nel 972 uno dei due altari della
chiesa dell’abbazia, fu dedicato proprio a Lucia, come patrona. Sigeberto
ricorda pure che Teodorico di Metz, in presenza di due vescovi di Treviri e
precisamente di Gerard di Toul e di Winofid di Verdun, abbia dedicato a Lucia
un oratorio nello stesso anno. Non solo, ma tanta e tale era dunque la
devozione di Teodorico di Metz per la v. e m. di Siracusa che fece tumulare il
conte Everardo, suo giovane nipote, prematuramente scomparso alla tenera età di
soli dieci anni, proprio innanzi all’altare di Lucia. Per tutto il tempo in cui
le spoglie di Lucia rimasero nella chiesa dell’abbazia di S. Vincenzo nella
Mosella, la v. e m. di Siracusa fu implorata durante i giorni delle Regazioni,
con una grande processione della cittadinanza di Metz che si fermò proprio
nell’abbazia di S. Vincenzo. Così Metz divenne il fulcro da cui si irradiò ben
presto il culto di Lucia tanto che già nel 1042 l’imperatore Enrico III reclamò
alcune reliquie della v. e m. di Siracusa per il convento nuovamente fatto
erigere dalla sua famiglia nella diocesi di Speyer e precisamente a
Lindeburch/Limburg.
La seconda tradizione è, invece, tramandata da Leone
Marsicano e dal cronista Andrea Dandolo di Venezia. Leone Marsicano racconta
che nel 1038 il corpo di Lucia, vegine e martire, fu trafugato da Giorgio
Maniace e traslato a Costantinopoli in una teca d’argento. Andrea Dandolo, esponendo la conquista di Costantinopoli
del 1204 da parte dei Crociati, tra i quali militava anche Enrico Dandolo, un
suo illustre antenato e doge di Venezia, informa che i corpi di Lucia e Agata
erano stati traslati dalla Sicilia a Costantinopoli ma che quello di Lucia fu poi nuovamente
traslato da Costantinopoli a Venezia, dove pare che di fatto giunse il 18
gennaio 1205. Quindi, la traslazione delle reliquie di Lucia a Venezia da
Costantinopoli sembra legata agli eventi della Quarta Crociata (quella
riconducibile al periodo che va dal 1202 al 1204), quando i cavalieri dell’Occidente
latino, piuttosto che liberare la Terrasanta,
spogliarono la metropoli dell’Oriente cristiano. Infatti, nel 1204, in seguito alla profanazione e al saccheggio
dei crociati nelle basiliche di Bisanzio, neanche la chiesa in cui riposava il
corpo di Lucia fu risparmiata da questa oltraggiosa strage tanto che furono
pure rimosse le sue spoglie e contese le sue reliquie, molto venerate
nell’Oriente ortodosso. Pare che, proprio in tale occasione Venezia, che aveva
condotto la Quarta Crociata presso il Santo Sepolcro, si impadronì delle
reliquie di Lucia, che giunsero, come si diceva, sulla laguna - nella chiesa di
S. Giorgio Maggiore- il 18 gennaio 1205
e cioè ancora prima della costruzione della basilica del Palladio e
dell’attuale Palazzo Ducale. Il corpo di Lucia fu riposto nel monastero
benedettino, dove aveva soggiornato il
monaco Gerardo (o Sagredo?). Sembra che il tragico evento del 13
dicembre del 1279 (cioè una bufera
scatenatasi all’improvviso, che provocò molte vittime) sia stato la causa di
una nuova traslazione del corpo di Lucia
dalla chiesa di S. Giorgio Maggiore a Venezia (eccetto, pare, un pollice -non
un braccio, come vuole la communis opinio-
che sarebbe rimasto in San Giorgio). Dopo tale tragedia, infatti, le
autorità decisero di traslare il corpo di Lucia in città, ponendolo in una
chiesa parrocchiale a lei intitolata e ciò allo scopo di agevolare a piedi il
pellegrinaggio alle sue sacre spoglie in terraferma senza dovere ricorrere ad
imbarcazioni. Quindi, nel mese seguente alla sciagura e precisamente il 18
gennaio del 1280 (lo stesso giorno della memoria dell’arrivo delle sacre
spoglie di Lucia da Costantinopoli), il suo corpo fu traslato nella chiesa
dedicatale, che si trovava nello stesso luogo in cui era ubicata la stazione
ferroviaria che, ancora oggi ne conserva la memoria nel nome e precisamente
sulle fondamenta prospicienti il Canal Grande e cioè all’inizio del sestiere di
Cannareggio. Tale chiesa fu poi riedificata nel 1313 e fu assegnata dal papa
Eugenio IV nel 1444 in commenda alle
suore domenicane, che avevano aperto il loro convento intitolato al Corpus
Domini, un cinquantennio prima sempre a Cannareggio. Nel 1476, dopo circa un
trentennio di contese, si raggiunse un accordo tra le monache domenicane del
convento del Corpus Domini e quelle agostiniane del monastero
dell’Annunziata proprio per il possesso
del corpo di Lucia: papa Sisto IV nel 1478 stabilì, con un solenne diploma, che
il corpo della santa rimanesse nella chiesa a lei intestata sotto la
giurisdizione delle agostiniane del monastero dell’Annunziata (che da allora
prese il nome di monastero di S. Lucia), le quali ogni anno avrebbero offerto
la somma di 50 ducati alle monache domenicane del convento del Corpus Domini.
Nel 1579 passando per il Dominio veneto l’imperatrice Maria d’Austria, il
Senato volle farle omaggio di una reliquia di s. Lucia pertanto, con
l’assistenza del patriarca Giovanni Trevisan fu asportata una piccola porzione
di carne dal lato sinistro del corpo della v. e m. Il 28 luglio del 1806 per
decreto vicereale il monastero di Santa Lucia fu soppresso e le monache
agostiniane costrette a trasferirsi al di là del Canal Grande e precisamente
nel monastero di S. Andrea della Girada, dove portarono pure il corpo di Lucia.
Nel 1807 il governo vicereale concesse alle agostiniane di S. Lucia di far
ritorno nel loro antico convento, che, tuttavia, trovarono occupato dalle agostiniane di Santa
Maria Maddalena, le quali si fusero con quelle di S. Lucia, assumendone anche
il titolo. Nel 1810 Napoleone Bonaparte decretò la chiusura di tutti i
monasteri e conventi, compreso quello di S. Lucia, le cui monache furono pure
obbligate a deporre l’abito monastico e a rientrare nella propria famiglia di
appartenenza. Il corpo di Lucia rimase nella sua chiesa, che fu così inserita
nella circoscrizione della parrocchia di S. Geremia. Nel 1813 il convento di S.
Lucia era donato dall’imperatore d’Austria alla b. Maddalena di Canossa, che vi
abitò fino al 1846, quando iniziarono i lavori per la stazione ferroviaria e
per la demolizione del convento. Fra il 1844 e il 1860 il governo austriaco
realizzò la costruzione del ponte ferroviario, che doveva giungere fino alle
fondamenta di Cannareggio e cioè proprio là dove da secoli allogavano i
monasteri delle domenicane del Corpus Domini e delle agostiniane di Santa
Lucia, poi abbattuti. Il corpo di Lucia l’11 luglio 1860 subì, quindi, una
nuova traslazione nella parrocchia di S. Geremia, per volere del patriarca
Angelo Ramazzotti: il sacro corpo rimase sette giorni sull’altar maggiore, poi
fu posto su un altare laterale in attesa di costruire la nuova cappella. Tre
anni dopo, l’11 luglio 1863, fu inauguata: essa era stata costruita con il
materiale del presbiterio della demolita chiesa di S. Lucia su gusti
palladiani. Per la generosità di mons. Sambo, parroco di quella Chiesa (che nel
frattempo assunse la denominazione SS. Geremia e Lucia) su disegno dell’arch.
Gaetano Rossi fu allestito un altare più degno in broccatello di Verona con
fregi di bronzo dorato. Quindi, dal 1860 Pio IX l'avrebbe fatto trasferire
nella chiesa dei Santi Geremia e Lucia, dove si venera a tutt’oggi. Qui, la
cappella del corpo di santa Lucia è assai bella e artistica proprio come tutte le
chiese di Venezia, adorna di marmi e di bronzi, ed è sempre stata oggetto di
particolari cure ed elevata devozione di fedeli sempre più numerosi. Il sacro
corpo, elevato sopra l'altare, è conservato in una elegante urna di marmi
preziosi, superbamente abbellita da pregiate decorazioni e sormontata dalla
stupenda statua della v. e m. Sulla parete di sfondo si leggono due iscrizioni,
che raccontano le vicende della traslazione e delle principali solenni
festività. Il 15 giugno del 1930 il patriarca Pietro La Fontaine lo consacrava
e collocava il corpo incorrotto di Lucia nella nuova urna in marmo giallo
ambrato. Nel 1955 il patriarca Angelo Roncalli -divenuto poi papa con il nome
di Giovanni XXIII- volendo che fosse conferita più importanza alle sacre
reliquie di Lucia, suggerì che le sacre spoglie fossero ricoperte di una
maschera d’argento, curata dal parroco Aldo Da Villa. Nel 1968, per iniziativa
del parroco Aldo Fiorin fu portato a compimento un completo restauro della
Cappella e dell’Urna della v. e m. Ancor oggi le sacre reliquie riposano nel
tempio di Venezia e nella bianca curva absidale si legge un inciso
propiziatorio: Vergine di Siracusa martire di Cristo in questo tempio riposa
all’Italia al mondo implori luce e pace. Ma, il 4 aprile 1867 le spoglie di
Lucia furono disgraziatamente profanate dai ladri (subito arrestati), che
furtivamente si erano introdotti nella chiesa di S. Geremia, per impadronirsi
degli ornamenti votivi. Da allora seguirono altre profanazioni e spoliazioni:
nel 1949, quando alla martire fu sottratta la corona (anche in questo caso il ladro
fu arrestato) e nel 1969, quando due ladri infransero il cristallo dell’urna.
Nel 1975 papa Giovanni Paolo I concesse
che il corpo della martire fosse portato ed esposto alla venerazione dei fedeli
nella diocesi di Pesaro per una settimana. Il 7 novembre 1981 due aggressori
spezzarono l’urna della martire estraendovi il corpo e lasciandovi il capo e la
maschera argentea. Anche questa volta il corpo fu recuperato proprio il 12
dicembre del 1981, giorno della vigilia della commemorazione della santa.
Esiste una variante sulla traslazione del corpo di Lucia a
Venezia, documentata da un codice del Seicento, o Cronaca Veniera, conservato
nella Biblioteca Marciana di Venezia (It. VII, 10 = 8607, f. 15 v.): esso
sarebbe stato portato a Venezia, assieme a quello di S. Agata, nel 1026, sotto
il dogado di Pietro Centranico. Non conosciamo l’origine della notizia nè se
derivi da una fonte anteriore. E’ diffuso, invece, il fondato sospetto di un
errore meccanico di amanuense, che avrebbe letto 1026 invece di 1206, cioè gli
anni dell’effettiva translatio. E nella Cronaca Veniera lo si accettò, legando
il fatto al doge dell’epoca. La presenza del corpo di Lucia a Venezia sin dal
1026 è una notizia che va accolta con prudenza? Tra il 1167 e il 1182 a Venezia
esisteva già una chiesa dedicata alla martire, come attestato da documenti
locali.
Una delle più antiche tradizioni veronesi racconta che le
spoglie della santa siracusana passarono da Verona durante il loro viaggio
verso la Germania intorno al sec. X, fatto che spiegherebbe anche la diffusione
del culto della santa sia a Verona che nel nord Europa. Secondo un’altra
tradizione, il culto di santa Lucia a Verona risalirebbe al periodo di dominio
della Serenissima su Verona. Secondo la communis opinio, Venezia infatti, già
nel 1204, avrebbe trasportato le spoglie della santa nella città lagunare.
Autore: Maria Stelladoro
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